Il comportamento del sapiente

Fuit quidam summo ingenio vir, Zeno, cuius aemuli Stoici nominantur. Illi putant sapientem gratia numquam moveri, numquam cuiusquam delicto ignoscere; neminem misericordem esse nisi stultum et levem; omnia peccata esse paria; omne delictum scelus esse nefarium; sapientem nihil opinari, nullius rei paenitere, nulla in re falli, sententiam mutare numquam. Nostri autem, homines moderati et temperati, a Platone et Aristotele instituti, aiunt sapientem miserere et apud eum valere aliquando gratiam; distinctas genere delictorum esse poenas; esse apud hominem constantem ignoscendi locum. Non dedecet ipsum sapientem irasci nonnumquam, exorari et placari, de sententia decedere aliquando: omnes virtutes mediocritate quadam moderatas esse decet.

Cicerone

Ci fu un uomo di altissimo ingegno, Zenone, i cui seguaci sono chiamati Stoici. Quelli ritengono che il sapiente non sia mai mosso dall’indulgenza, non conceda mai il perdono all’errore di alcuno; nessuno sia misericordioso se non lo stolto e il superficiale; tutti i peccati siano eguali; ogni delitto sia un’infame scelleratezza; il sapiente non faccia delle congetture, non si penta di nulla, non si sbagli in nessuna cosa, non cambi mai opinione. Invece i nostri, uomini misurati ed equilibrati, formati da Platone e Aristotele, dicono che il sapiente è misericordioso e la pietà talvolta ha influenza presso di lui; le pene sono differenti in base al tipo di delitti; c’è presso l’uomo fermo di carattere il momento del perdono. Non è sconveniente al sapiente qualche volta adirarsi, essere vinto ed essere placato dalle preghiere, abbandonare talvolta un’opinione: conviene che tutte le virtù siano equilibrate nel giusto mezzo.