La fine di Tiberio Gracco

Cum Tiberis Gracchus in tribunatu profusissimis largitionibus favore populi occupato rem publicam oppressam tenere videretur palamque dictitaret interempto senatu omnia per plebem agi debere, in aedem Fidei Publicae patres conscripti a consule Mucio Scaevola convocati ac iussi sunt deliberare quidnam in tali tempestate faciendum esset. Cunctisque visum est consuli armis rem publicam tuendam esse, sed Scaevola negavit se quicquam vi esse acturum. Tum Scipio Nasica, «Quoniam» inquit «consul, dum iuris ordinem sequitur, id agit, ut cum omnibus legibus Romanum imperium corruat, egomet me privatus voluntati vestrae ducem offero», ac deinde laevam manum ima parte togae circumdedit sublataque dextra proclamavit: «Qui rem publicam salvam esse volunt me sequantur», eaque voce cunctatione bonorum civium discussa Gracchum cum scelerata factione quas merebatur poenas persolvere coegit.

Valerio Massimo

Dal momento che durante il tribunato Tiberio Gracco, ottenuto il favore del popolo con generosissime elargizioni, sembrava tener oppressa la repubblica e andava dicendo apertamente che, tolto di mezzo il senato, ogni cosa doveva essere fatta tramite la plebe, i senatori furono convocati dal console Muzio Scevola nel tempio della Fides Publica e invitati a decidere cosa si dovesse fare in una circostanza tale. A tutti parve opportuno che il console dovesse proteggere la repubblica con le armi, ma Scevola disse che non avrebbe fatto nulla con la violenza. Allora Scipione Nasica disse: «Poiché il console, mentre segue la norma della legge, fa ciò per far crollare l’autorità Romana con tutte le leggi, io stesso da privato cittadino mi offro come guida alla vostra volontà», quindi pose la mano destra attorno alla parte estrema della toga e sollevata la destra proclamò: «Coloro che vogliono che la repubblica sia salva, mi seguano», e, dissipata con quella frase l’esitazione dei cittadini perbene, costrinse Gracco assieme alla scellerata fazione a scontare il castigo che meritava.