La morte di Tullio Marcellino

Tullius Marcellinus, adulescens quietus et cito senex, morbo non insanabili correptus, sed longo et molesto, coepit deliberare de morte. Amicus noster Stoicus, homo egregius et laude dignus, sic illum cohortatus est. «Noli, mi Marcelline, torqueri: non est res magna vivere, magnum est honeste, prudenter, fortiter mori». Non opus erat suasore illi, sed adiutore. Servi parere nolebant: mox servos ex metu liberavit, summulas illis flentibus distribuit et magno cum animo ipse consolatus est. Non fuit illi opus ferro, non sanguine: triduo abstinuit cibo et in ipso cubiculo poni tabernaculum iussit. Solium deinde inlatum est, in quo diu iacuit et, calda suffusa, paulatim defecit quadam voluptate, quam afferre solet lenis dissolutio.

Seneca

Tullio Marcellino, un adolescente tranquillo e rapidamente anziano (=invecchiatosi), colpito da una malattia non inguaribile, ma lunga e fastidiosa, cominciò a riflettere sulla sua morte. Il nostro amico Stoico, uomo esimio e degno di lode, lo esortò in questo modo: “Non tormentarti, mio Marcellino: vivere non è una gran cosa, l’importante è morire con dignità, saggezza, coraggio”. A quello non occorreva un esortatore, ma un aiutante. I servi non volevano obbedire: subito liberò i servi dal timore, ad essi che piangevano distribuì delle piccole somme ed egli stesso con animo nobile li consolò. Non gli fu necessario il ferro, non gli fu necessario (versare) il sangue: per tre giorni si astenne dal cibo e ordinò di mettere una tenda nella stessa stanza da letto. Quindi venne portata una vasca da bagno, nella quale giacque a lungo e, versata dell’acqua calda, a poco a poco venne meno, con quel (sottile) piacere che la lenta mancanza di energie suole recare.