Nulla di ciò che possediamo è nostro

Quidquid est hoc, Marcia, quod circa nos ex adventicio fulget, liberi honores opes, ampla atria et exclusorum clientium turba referta vestibula, clarum , nobilis aut formosa coniux ceteraque ex incerta et mobili sorte pendentia alieni commodatique apparatus sunt; nihil horum dono datur. Conlaticiis et ad dominos redituris instrumentis scaena adornatur; alia ex his primo die, alia secundo referentur, pauca usque ad finem perseverabunt. Itaque non est quod nos suspiciamus tamquam inter nostra positi: mutua accepimus. Usus fructusque noster est, cuius tempus ille arbiter muneris sui temperat; nos oportet in promptu habere quae in incertum diem data sunt et appellatos sine querella reddere: pessimi debitoris est creditori facere convicium.

Esperienze di traduzione – Pag.185 n.7 – Seneca

Qualunque cosa, o Marcia, sia ciò che costituisce pura apparenza: figli, onori, ricchezze, atri spaziosi e vestiboli pieni di una folla di clienti esclusi, un nome illustre, una moglie nobile o bella e le altre cose che dipendono da un instabile ed incerto destino, esse sono un apparato estraneo e datoci in prestito; nessuna di esse ci viene data come dono. La scena è adorna di suppellettili raccogliticce e che si dovranno restituire ai loro proprietari; alcune di esse saranno restituite il primo giorno, altre il secondo, poche persisteranno sino alla fine. Pertanto non c’è di che vantarsi come se ci trovassimo in mezzo a cose di nostra proprietà: le abbiamo prese in prestito. Nostro ne è l’utilizzo e il frutto, il cui tempo è stabilito dall’arbitro del proprio dono; noi dobbiamo mettere a disposizione quel che ci è stato dato in un giorno indeterminato e restituirlo senza rimostranze quando saremo chiamati: è proprio di un pessimo debitore ingiuriare il creditore.