Plutarco, il filosofo che non si adirava mai

Plutarchus, vir doctus et philosophus, servum habebat philosophiae peritum sed iurgiosum et superbum. Olim tunicam ei detraxit (poenae causam nescio) et loro eum cecidit. Dum dominus eum verberat, servus superbus frustra exclamabat: «Cur me verberas? Nullam poenam mereo!» Postremo vanas querimonias deposuit et magna cum insolentia verba seria et obiurgatoria dicere incepit: «Ira, ut tu ais, ignominiosa est: saepe tu de (de + abl. = compl. di argomento) irae damnis dissertavisti, librum quoque scripsisti! Si servum tuum multis plagis castigas, bonus philosophus non es!» «Num iratus sum? – inquit leniter Plutarchus – Dum te verbero, oculi mei non sunt truculenti nec turbidi, neque immaniter clamo neque dura verba dico, neque gestio: nullum irae signum ostendo». Et simul ad alterum servum conversus: «Interim, dum ego atque is disputamus, tu loro persevera!».

Gellio

Plutarco, uomo dotto e filosofo, aveva un servo esperto di filosofia ma litigioso e superbo. Un giorno gli tolse la tunica (non conosco il motivo della punizione) e lo picchiò con la sferza. Mentre il padrone lo picchiava, il servo superbo esclamava invano: «Perché mi picchi? Non merito nessun castigo!». Alla fine rinunciò alle vane lamentele e iniziò a dire parole serie e riprensive con grande sfrontatezza: «L’ira, come tu dici, è oltraggiosa: spesso tu hai discusso dei danni dell’ira, hai anche scritto un’opera! Se punisci il tuo servo con molte percosse, non sei un buon filosofo!». «Sono forse irato? – disse placidamente Plutarco – Mentre ti colpisco i miei occhi non sono torvi né furiosi, non grido barbaramente né dico parole dure e non gesticolo: non mostro nessun segno di ira». E contemporaneamente rivolto ad un altro servo: «Mentre io e lui discutiamo, tu nel frattempo continua con la sferza!».