Crudeltà di Cambise

Cambysen regem nimis deditum vino Praexaspes, unus ex carissimis, monebat ut parcius biberet. Dicebat enim turpem esse ebrietatem in rege quem omnium oculi auresque inspiciunt. Ad haec ille: «Ut scias» inquit «quemadmodum compos mei semper sim, approbabo et oculos meos et manus ad offiium semper promptissimos esse, etiam post vinum». Bibit deinde liberalius solito et capacioribus scyphis et, iam gravis e vinolentus, iubet obiurgatoris sui filium procedere ultra limen et allevata super caput sinistra manu stare. Tunc intendit arcum et ipsum cor adulescentis (id enim petere se dixerat) figit; rescisso iuvenis pectore, spiculum in medio corde defixum ostendit ac patrem interrogavit satisne certam haberet manum. At ille negavit Apollinem certius telum mittere posse nec maledixit regi. Merito verba ac iram gemitus ac dolorem devoravit: habebat enim alterum filium.

Pressaspe, uno dei suoi più cari amici, esortava il re Cambise, eccessivamente incline al vino, a bere più moderatamente. Diceva infatti che l’ubriachezza era vergognosa in un re, che le orecchie e gli occhi di tutti esaminano attentamente. A queste parole quello rispose: “Affinché tu sappia come io sia sempre padrone di me, ti dimostrerò che sia i miei occhi sia le mie mani sono sempre molto pronti all’impiego, anche dopo il vino”. Bevve quindi più abbondantemente del solito e con coppe più grandi e, ormai appesantito e ubriaco, ordinò al figlio del suo riprensore di uscire oltre la soglia e di stare fermo con la mano sinistra sollevata sopra la testa. Allora tese l’arco e trafisse proprio il cuore del giovane (aveva infatti detto di volerlo colpire); squarciato il petto del ragazzo, fece vedere la punta conficcata in mezzo al cuore e chiese al padre se avesse una mano abbastanza ferma. Quello disse che Apollo non poteva scagliare un dardo in modo più preciso. Represse a ragione parole e ira, gemiti e dolore: aveva infatti un altro figlio.