Diffidenza verso Alcibiade

Restituta ergo huic sunt publice bona, eidemque illi Eumolpidae sacerdotes rursus resacrare sunt coacti, qui eum devoverant, pilaeque («le colonnette») illae, in quibus devotio fuerat scripta, in mare praecipitatae. Haec laetitia Alcibiadi non nimis fuit diuturna. Nam cum ei omnes essent honores decreti totaque res publica domi bellique tradita, ut unius arbitrio gereretur, et ipse postulavisset, ut duo sibi collegae darentur, Thrasybulus et Adimantus, neque id negatum esset, classe in Asiam profectus, quod apud Cymen minus ex sententia rem gesserat, in invidiam recidit. Nihil enim eum non efficere posse ducebant. Ex quo fiebat, ut omnia minus prospere gesta culpae tribuerent, cum aut eum neglegenter aut malitiose fecisse loquerentur, sicut tum accidit: nam, corruptum a rege, capere Cymen noluisse arguebant.

Cornelio Nepote

Quindi gli vennero restituiti pubblicamente i beni, e quegli stessi sacerdoti Eumolpidi, che l’avevano maledetto, furono costretti a ritirare la scomunica, e quelle colonnette, sulle quali era stata scritta la maledizione, vennero gettate in mare. Questa gioia non fu troppo durevole per Alcibiade. Infatti dopo che gli erano stati decretati tutti gli onori e gli era stato consegnato, in pace e in guerra, totalmente lo Stato, affinché fosse governato dalla decisione di uno solo, ed egli stesso aveva chiesto che gli fossero dati due colleghi, Trasibulo e Adimanto, e ciò non gli era stato negato, partito con la flotta per l’Asia, poiché presso Cime aveva gestito l’impresa meno bene delle aspettative, ricadde nel sospetto. Infatti credevano che egli potesse ottenere ogni cosa. Perciò avveniva che tutte le imprese sfortunate venissero imputate a sua colpa, dicendo che egli aveva agito o con negligenza o con slealtà, come accadde allora: infatti asserivano che non aveva voluto espugnare Cime perché era stato corrotto dal re.