I filosofi non si curano della sepoltura (B)

Durior Diogenes, et is idem sentiens, sed ut philosophus Cynicus asperius iussit se proici inhumatum. Tum amici: «Volucribusne et feris?». «Minime vero, – inquit – sed bacillum, quo feras abigam, prope me ponitote». Et illi: «Quomodo poteris? Non enim senties». «Quid igitur ferarum laniatus oberit mihi nihil sentienti?». Anaxagoras, cum Lampsaci moreretur, quaerentibus amicis velletne Clazomenas in patriam, si quid accidisset, referri: «Nihil necesse est – inquit ; undique enim ad inferos tantundem viae est». Theodorum, philosophum non ignobilem, nonne miramur? Cui cum Lysimachus rex crucem minaretur: «Ista horribilia, quaeso, – inquit – minitare purpuratis tuis; Theodori quidem nihil interest utrum humi an sublime putescat».

Cicerone

Più rigido Diogene, pur pensando anche lui la stessa cosa, però, come filosofo Cinico, ordinò in modo molto perentorio di essere lasciato insepolto. Allora gli amici: “Agli uccelli e alle fiere?”. “Per nulla affatto, – rispose – ma mettete vicino a me un bastoncino, con cui possa scacciare le bestie”. E quelli: “Come potrai? Infatti non sentirai”. “Dunque perché mi nuocerà il morso delle fiere non sentendo nulla?”. Anassagora, dimorando a Lampsaco, agli amici che gli chiedevano se volesse essere riportato in patria a Clazomene, qualora fosse accaduto qualcosa: “Non è affatto necessario – disse – da ogni parte infatti vi è altrettanta strada fino agli inferi”. Non ammiriamo forse Teodoro, filosofo tutt’altro che spregevole? Poichè il re Lisimaco minacciava di crocifiggerlo: “Minaccia, ti prego, – disse – queste cose orribili ai tuoi cortigiani; a Teodoro non importa veramente nulla se debba marcire sotto terra o sospeso in alto”.