I limiti della cura del corpo

Fateor insitam esse nobis corporis caritatem ; fateor nos huius gerere tutelam. Non nego indulgendum illi, serviendum nego; multis enim serviet qui corpori servit, qui pro illo nimium timet, qui ad illud omnia refert. Sic gerere nos debemus, non tamquam propter corpus vivere debeamus, sed tamquam non possimus sine corpore: huius nos nimius amor timoribus inquietat, sollicitudinibus onerat, contumeliis obicit: honestum ei vile est cui corpus nimis carum est. Agatur eius diligentissime cura, ita tamen ut, cum exiget ratio, cum dignitas, cum fides, mittendum in ignem sit . Nihilominus, quantum possumus, evitemus incommoda quoque, non tantum pericula, et in tutum nos reducamus, excogitantes subinde quibus possint timenda repelli. Quorum tria, nisi fallor, genera sunt: timetur inopia, timentur morbi, timentur quae per vim potentioris eveniunt.

Seneca

Ammetto che è innato in noi il rispetto del corpo; ammetto che noi esercitiamo la tutela di questo. Non nego che si debba essere indulgenti con quello, nego che si debba esserne schiavi; infatti sarà schiavo di molto colui che è schiavo del corpo, colui che teme troppo per quello, colui che finalizza tutto a quello. Così dobbiamo comportarci, non come se dovessimo vivere per il corpo, ma come se non potessimo (vivere) senza corpo: l’eccessivo amore di questo ci inquieta di paure, ci carica di preoccupazioni, ci espone alle offese: ciò che è dignitoso è spregevole per colui al quale il corpo è troppo caro. Di esso ci si prenda cura con molta attenzione, tuttavia in modo che, quando lo esigerà la ragione, quando la dignità, quando la lealtà, sia da gettare sul fuoco. Nondimeno, per quanto possiamo, evitiamo anche i disagi, non soltanto i pericoli, e mettiamoci al sicuro, cercando di capire subito dopo con quali mezzi le cose da temere si possano cacciare. E di queste tre, se non mi sbaglio, sono i generi: si teme la povertà, si temono le malattie, si temono le cose che accadono tramite la forza di uno più potente.