Il giovane Catone e Silla

Cato, cum salutandi gratia ad Sullam venisset, capita proscriptorum in atrium adlata vidit. Atrocitate rei commotus, paedagogum suum, nomine Sarpedonem, Cato interrogavit. Ex eo quaesivit quapropter nemo tam crudelem tyrannum occideret. Ille respondit non voluntatem deesse hominibus, sed facultatem: nam salus Sullae magno praesidio militum custodiebatur. Tum Cato eum obsecravit ut ferrum sibi daret: adfirmavit perfacile se eum interfecturum, cum in lecto illius considere soleret. Paedagogus et animum Catonis agnovit et propositum exhorruit eumque postea ad Sullam excussum semper adduxit. Nihil hoc admirabilius: puer non extimuit Sullam, qui, deprehensus in officina crudelitatis, tum maxime trucidabat consules, municipia, legiones, maiorem partem equestris ordinis.

Valerio Massimo

Catone, essendo andato da Silla per salutarlo, vide le teste dei proscritti esposte nell’atrio. Sdegnato per l’atrocità della cosa, Catone interrogò il suo pedagogo, di nome Sarpedone. Gli chiese perché nessuno uccidesse un tiranno così crudele. Quello rispose che agli uomini non mancava la volontà, ma l’occasione: infatti l’incolumità di Silla era protetta da una numerosa scorta di soldati. Allora Catone lo scongiurò di dargli una spada: affermò che lui lo avrebbe ucciso molto facilmente, poiché era solito mettersi a sedere sul letto di quello. Il pedagogo da una parte riconobbe il coraggio di Catone dall’altra provò orrore per il proposito e in seguito lo condusse da Silla sempre dopo averlo perquisito. Nulla è più ammirabile di questo: il fanciullo non temette Silla, che, colto nel suo laboratorio di crudeltà, in quel periodo più che mai trucidava consoli, municipi, legioni, la maggior parte degli appartenenti all’ordine equestre.