Il sacrificio di Decio Mure

Cum Gallorum acies, insecuta Romanos, nullum eis spatium respirandi daret, tum vociferari Decius, obsistere cedentibus ac revocare fusos coepit. Deinde, ut (siccome) nullo modo suos sustinere poterat, patrem P. Decium compellans: «Quid ultra moror – inquit – fatum familiae meae? Datum hoc nostro generi est ut luendis periculis publicis piacula simus. Iam ego mecum hostium legiones mactandas Telluri (la dea Terra) et Manibus dabo». Inde se Inferis devotus est eadem precatione eodemque habitu, quo pater P. Decius ad Veserim bello Latino se devoveri iusserat. Cum haec execratus esset in se hostesque, ubi confertissima hostium acies cerni poterat, concitat equum, deliberato consilio mortem oppetendi. Sic inferens se ipse infestis telis, est interfectus.

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Poiché l’esercito dei Galli, che inseguiva i Romani, non dava loro il tempo di riprender fiato, Decio iniziò ad urlare, a pararsi davanti ai fuggitivi a richiamare i dispersi. Poi, dato che non poteva sostenere in nessun modo i suoi, invocando il padre Publio Decio, disse: “Perché ritardo il destino della mia famiglia? È stato dato questo alla nostra stirpe, di essere vittime espiatorie nei pericoli dello Stato. Ora offrirò con me le legioni dei nemici in sacrificio alla dea Terra e ai Mani!”. Quindi si consacrò in voto agli inferi con la stessa invocazione e con lo stesso abito con cui il padre Publio Decio aveva deciso di consacrarsi presso il Veseri durante la guerra Latina. Dopo aver maledetto se stesso e i nemici, presa la decisione di andare incontro alla morte, sprona il cavallo là dove poteva vedere schiere più compatte di nemici. Così, offrendo se stesso alle frecce nemiche, fu ucciso.