Il sogno di Caio Fannio

C. Fannius, quamvis agendis causis distringeretur, scribebat tamen exitus occisorum aut relegatorum a Nerone: et iam tres libros absolverat, subtiles et diligentes atque inter sermonem historiamque medios. Ac tanto magis reliquos perficere cupiebat, quanto frequentius hi lectitabantur. Mihi autem videtur acerba semper et immatura mors eorum qui immortale aliquid parant. Nam qui voluptatibus dediti quasi in diem vivunt, vivendi causas quotidie finiunt: qui vero posteros cogitant et memoriam sui operibus extendunt, his nulla mors non repentina est. Caius quidem Fannius, quod accidit, multo ante praesentit. Visus est sibi per nocturnam quietem iacere in lectulo suo compositus in habitum studentis, habere ante se scrinium ita ut solebat: mox imaginatus est venisse Neronem, in toro resedisse, prompsisse primum librum, quem de sceleribus eius ediderat, eumque ad extremum revolvisse, idem in secundo ac tertio fecisse, tunc abiisse. Expavit et sic interpretatus est, sibi futuram esse finem scribendi ut Neroni fuit finis legendi. Et fuit idem.

Maiorum Lingua C – Plinio il Giovane

Caio Fannio, sebbene fosse trattenuto da impegni necessari, scriveva tuttavia della fine di coloro che erano stati fatti uccidere o mandati in esilio da Nerone: e già aveva riempito tre libri, acuti e accurati e a metà fra dialogo e storia. E tanto più desiderava portare a compimento i restanti quanto più spesso questi venivano letti. Mi sembra, del resto, sempre cruda e prematura la morte di coloro che preparano qualcosa di immortale. Coloro infatti che, dediti ai piaceri, vivono giorno per giorno ogni giorno limitano le ragioni di vivere; ma per chi invero a chi viene dopo ed estende il proprio ricordo alle sue imprese nessuna morte è improvvisa. Certo Caio Fannio presagì molto prima quel che gli accadde. Gli parse di trovarsi nel suo letto durante il riposo notturno vestito in abito da studioso, di avere preparato il primo libro, che aveva pubblicato circa i suoi crimini, e di averlo completato sino alla fine, di avere poi fatto la stessa cosa per il secondo e il terzo e, allora, di essere morto. Si spaventò e così lo interpretò: sarebbe morto mentre scriveva così come Nerone sarebbe morto mentre leggeva. E fu proprio così.