La patria stessa incoraggia Cicerone contro Catilina

Nunc, patres conscripti, percipite diligenter quae dicturus sum: etenim patria, quae mihi multo est carior vita mea, mihi dicat (mi potrebbe dire): «M. Tulli, quid agis? Tune impune dimittes Catilinam, quem esse hostem comperisti, quem ducem belli futurum esse vides, auctorem sceleris, principem coniurationis, evocatorem servorum et civium perditorum? Nonne imperabis hunc in vincla duci, ad mortem rapi? Quid tamen te impedit? Mosne maiorum an leges quae de civium Romanorum supplicio rogatae sunt? An invidiam posteritatis times? Postea cum Italia bello vastabitur, vexabuntur urbes, tecta ardebunt, nonne existimas te in invidiae incendio conflagraturum esse?».

Cicerone

Ora, padri conscritti, ascoltate attentamente ciò che sto per dire: veramente la patria, che mi è molto più cara della mia vita, mi potrebbe dire: “Marco Tullio, che cosa fai? Allora lascerai andare senza punizione Catilina, che hai appurato è un nemico, che vedi sarà il comandante della guerra, l’istigatore del misfatto, il capo della congiura, il sobillatore degli schiavi e dei cittadini scellerati? Forse non ordinerai che costui sia condotto in prigione, sia trascinato alla morte? Ma che cosa te lo impedisce? Forse la tradizione degli antenati oppure le leggi che sono state presentate sulla pena di morte dei cittadini Romani? O temi l’odio dei posteri? Poi quando l’Italia sarà devastata dalla guerra, le città saranno saccheggiate, le case bruceranno, non pensi che tu arderai nell’incendio dell’ostilità?”.