L’avidità è un male molto antico

Asclepiodotus philosophus auctor est demissos complures a Philippo in metallum antiquum olim destitutum, ut explorarent quae ubertas eius esset, quis status, an aliquid posteris reliquisset vetus avaritia. Cum magna voluptate hoc legi. Intellexi enim saeculum nostrum non novis vitiis sed iam inde antiquitus traditis laborare, nec nostra aetate primum avaritiam venas terrarum rimatam esse ut divitias in tenebris quaereret. Illi maiores nostri, quos dignos qui laudentur putamus, quibus dissimiles esse nos querimur, spe ducti montes ceciderunt, et supra lucrum sub ruina steterunt. Quae tanta necessitas hominem, qui ad sidera erectum natura fecerit, incurvavit et defodit, et in fundum telluris intimae mersit? Cuniculos egit et circa praedam lutulentam incertamque reptavit oblitus dierum, oblitus rerum naturae. Nulli ergo mortuo tam gravis terra est quam istis, quibus abstulit caelum, quos in imo, ubi malum virus avaritiae latitat, infodit.

Seneca

Il filosofo Asclepiodoto tramanda che da Filippo furono fatti scendere parecchi in un’antica miniera abbandonata da molto tempo, affinché esaminassero quale fosse la sua (= della miniera) produttività, quale (fosse) lo stato, se l’antica avidità avesse lasciato qualcosa ai posteri. Ho letto ciò con grande piacere. Ho capito infatti che la nostra epoca è afflitta da vizi non nuovi, ma tramandati già dall’antichità, e che l’avidità non ha frugato le vene della terra per la prima volta nella nostra epoca per cercare ricchezza nelle tenebre. Quei nostri antenati, che reputiamo degni di essere lodati, dai quali ci lamentiamo di essere diversi, indotti dalla speranza, hanno fatto a pezzi le montagne, e sopra il profitto stettero sotto il crollo. Quale tanto grande necessità piegò e seppellì l’uomo, che la natura ha fatto eretto verso le stelle, e lo fece affondare sul fondo della terra più profonda? Scavò gallerie e strisciò attorno a un bottino fangoso e incerto, dimentico dei giorni, dimentico della natura delle cose. Perciò per nessun morto la terra è tanto pesante quanto per questi, ai quali (l’avidità) ha tolto il cielo, che ha sotterrato nel profondo, dove si nasconde il funesto veleno dell’avidità.