Le rane chiedono un re (B)

«Cum ranae timorem deposuissent, tanta audacia pulsae sunt ut certatim ad tigillum adnataverint et supra lignum turba petulans insiluerit. Cum inquinavissent tigillum omni contumeliarum genere, petiverunt a Iove novum regem. Tum Iuppiter, ira plenus, hydram misit, quae aspero dente ranas corripuit. Furtim igitur ranae etiam Iovem obsecraverunt, ut a deorum patre servarentur. Sed summus deus dixit: “Quia bonum vestrum non accepistis, nunc malum tolerabitis!”». Perducta ad finem fabella, sic Aesopus Athenienses monuit: «Vos quoque, cives, hunc tyrannum su-stinete, ne malum peius vobis veniat!».

«Dopo che le rane ebbero abbandonato la paura, furono mosse da un così grande coraggio che nuotarono a gara verso il travicello e l’insolente folla saltò sopra il pezzo di legno. Dopo aver infangato il travicello con ogni (tipo di) offesa, chiesero a Giove un nuovo re. Allora Giove, pieno d’ira, mandò un serpente che, con i denti aguzzi, afferrò le rane. Dunque le rane supplicarono di nascosto anche Giove, affinché fossero salvate dal padre degli dèi. Ma il sommo dio disse: «Poiché non avete sopportato il vostro bene, ora sopporterete il male!». Condotta la storiella alla fine, Esopo esortò così gli Ateniesi: «Anche voi, o cittadini, sopportate il tiranno, affinché non vi giunga un male più grande!».