Lo schiavo è un uomo come te

Libenter ex iis qui a te veniunt cognovi familiariter te cum servis tuis vivere: hoc prudentiam tuam, hoc eruditionem decet. “Servi sunt.” Immo homines. “Servi sunt” Immo contubernales. “Servi sunt”. Immo humiles amici. “Servi sunt”. Immo conservi, si cogitaveris tantundem in utrosque licere fortunae. Itaque rideo istos qui turpe existimant cum servo suo cenare: quare, nisi quia superbissima consuetudo cenanti domino stantium servorum turbam circumdedit? Est ille plus quam capit, et ingenti aviditate onerat distentum ventrem ac desuetum iam ventris officio, ut maiore opera omnia egerat quam ingessit. At infelicibus servis movere labra ne in hoc quidem ut loquantur, licet; virga murmur omne compescitur, et ne fortuita quidem verberibus excepta sunt, tussis, sternumenta, singultus; magno malo ulla voce interpellatum silentium luitur; nocte tota ieiuni mutique perstant. Sic fit ut isti de domino loquantur quibus coram domino loqui non licet.

Esperienze di traduzione – Pag.204 n.2 – Seneca

Ho appreso volentieri da costoro, che provengono da te, che tu vivi in familiarità con i tuoi schiavi: questo si addice alla tua saggezza ed alla tua educazione. “Sono schiavi” – ma sono anche uomini. “Sono schiavi” – ma sono anche compagni di stanza. “Sono schiavi” – ma anche umili amici. “Sono schiavi” – ma anche compagni di schiavitù, se pensi che la fortuna ha egual potere su entrambi. Così rido di coloro, che ritengono disdicevole cenare con il proprio schiavo: perché, se non che una consuetudine superba impone intorno al padrone che cena, una folla di schiavi ritti in piedi? Egli mangia più di quanto può contenere ed appesantisce con la sua mostruosa avidità il ventre teso ed ormai disabituato al suo compito di ventre, al punto che rigetta tutto con maggior sforzo di quanto lo ingoiò: invece agli schiavi sventurati non è concesso muovere le labbra neppure per questo, per parlare.