Morte dell’imperatore Tiberio

Tam Tiberium corpus, iam vires, nondum dissimulatio deserebat: idem animi rigor; sermone ac vultu intentus quaesita interdum comitate quamvis manifestam defectionem tegebat. Mutatisque saepius locis tandem apud promunturium Miseni consedit in villa cui L. Lucullus quondam dominus. Illic eum adpropinquare supremis tali modo compertum. Erat medicus arte insignis, nomine Charicles, non quidem regere valetudines principis solitus, consilii tamen copiam praebere. Is velut propria ad negotia digrediens et per speciem officii manum complexus pulsum venarum attigit. Neque fefellit: nam Tiberius, incertum an offensus tantoque magis iram premens, instaurari epulas iubet discumbitque ultra solitum, quasi honori abeuntis amici tribueret. Charicles tamen labi spiritum nec ultra biduum duraturum Macroni firmavit. Inde cuncta conloquiis inter praesentis, nuntiis apud legatos et exercitus festinabantur. Septimum decimum kal. aprilis interclusa anima creditus est mortalitatem explevisse; et multo gratantum concursu ad capienda imperii primordia G. Caesar egrediebatur, cum repente adfertur redire Tiberio vocem ac visus vocarique qui recreandae defectioni cibum adferrent. Pavor hinc in omnis, et ceteri passim dispergi, se quisque maestum aut nescium fingere; Caesar in silentium fixus a summa spe novissima expectabat. Macro intrepidus opprimi senem iniectu multae vestis iubet discedique ab limine. Sic Tiberius finivit octavo et septuagesimo aetatis anno.

Tacito

Ormai il corpo, ormai le forze abbandonavano Tiberio, non ancora la finzione: la freddezza d’animo era la stessa; attento nel discorso e con lo sguardo, talvolta con ricercata affabilità nascondeva il pur chiaro deperimento. E dopo aver cambiato molto spesso i luoghi di abitazione, alla fine si stabilì vicino al promontorio di Miseno nella villa il cui padrone un tempo era stato Lucio Lucullo. Là si scoprì in questo modo che egli si avvicinava alla fine della vita. Vi era un medico insigne nella professione, di nome Caricle, il quale, sebbene non avesse certo l’abitudine di curare le malattie dell’imperatore, tuttavia gli dava numerosi consigli. Egli, come andando via per proprie incombenze e strettagli la mano con il pretesto di una cortesia, tastò la pulsazione delle vene. Ma non lo trasse in inganno: infatti Tiberio, dubbioso o irritato e tanto più frenando l’ira, ordinò di preparare il banchetto e rimase a tavola oltre il solito, come se lo concedesse ad onore dell’amico che partiva. Caricle però confermò a Macrone che il respiro stava per svanire e che non sarebbe vissuto più di due giorni. Quindi con colloqui tra i presenti, attraverso messaggeri presso gli ambasciatori e l’esercito, si affrettavano tutte le cose. Diciassette giorni prima delle Calende di Aprile (=il 16 marzo), persa conoscenza, si credette che avesse concluso la sua vita mortale; e Gaio Cesare usciva ad assaporare gli esordi dell’impero da una grande affluenza di gente che si congratulava, quando improvvisamente venne recata la notizia che a Tiberio tornavano la voce e la vista e che venivano chiamati quelli che gli portassero il cibo per ristorarsi. Da questo momento la paura in tutti, e gli altri si disperdevano in ogni direzione, ciascuno si fingeva addolorato o ignaro; Cesare, fermo in silenzio, dopo la più viva speranza aspettava le ultime notizie. Macrone, intrepido, ordinò di soffocare il vecchio gettandogli sopra un mucchio di coperte e di allontanarsi dalla casa. Così morì Tiberio all’età di settantotto anni.