Non si deve piangere troppo

Moleste fero decessisse Flaccum, amicum tuum, plus tamen aequo dolere te nolo. Illud, ut non doleas, vix audebo exigere; et esse melius scio. Sed cui ista firmitas animi continget nisi iam multum supra fortunam elato? Illum quoque ista res vellicabit, sed tantum vellicabit. Nobis autem ignosci potest prolapsis ad lacrimas, si non nimiae decucurrerunt, si ipsi illas repressimus. Nec sicci sint oculi amisso amico nec fluant; lacrimandum est, non plorandum. Duram tibi legem videor ponere, cum poetarum Graecorum maximus ius flendi dederit in unum dumtaxat diem, cum dixerit etiam Niobam de cibo cogitasse? Quaeris unde sint lamentationes, unde immodici fletus? Per lacrimas argumenta desiderii quaerimus et dolorem non sequimur sed ostendimus; nemo tristis sibi est. O infelicem stultitiam! Est aliqua et doloris ambitio.

Esperienze di traduzione – Pag.205 n.4 – Seneca

Mi dispiace molto per la morte del tuo amico Flacco, ma non vorrei che tu ne soffrissi più del giusto. Non oso pretendere che tu non ti addolori, anche se so che sarebbe meglio. Ma una fermezza del genere può averla solo chi è ormai molto al di sopra della fortuna. La morte pungerà la sua anima, ma la pungerà solamente. Se scoppiamo in lacrime, è perdonabile, purché le lacrime non scorrano a fiotti, e siamo noi stessi a reprimerle. Morto un amico, gli occhi non devono gonfiarsi di pianto, ma neanche esserne privi; bisogna versare qualche lacrima, non singhiozzare disperatamente. Credi che ti imponga una dura legge? Eppure il più grande poeta greco concede il diritto di piangere, ma per un solo giorno, e racconta che anche Niobe si preoccupò del cibo. Domandi da dove nascano i lamenti e i pianti sfrenati? Attraverso le lacrime vogliamo dimostrare il nostro rimpianto e non ci conformiamo al dolore, lo ostentiamo; nessuno è triste per se stesso; che misera stupidità! c’è un’ostentazione anche del dolore.