Quando la vanità uccide

Noctua solebat victum («cibo», acc.) in tenebris quaerere cavoque ramo capere somnum sed cicada acerba ei convicia faciebat. Noctua cicadae dixit: «Tace, quaeso». Attamen cicada multo validius («molto più forte») clamare incipit. Rursus noctua cicadam rogabat sed rursus validius («più forte») ea clamabat. Noctua ut vidit nullum responsum et verba sua spreta, garrulam cicadam fallacia adgrediebatur: «Verba tua divina sunt Musarumque cithara canuntur et Musarum serva es. Nunc Musae noctuis divinam garrulamque aquam donaverunt, veni et Musarum aquam una bibemus, nam digna es». Tunc gloriosa cicada, quia sitiebat et simul laudari amabat, cupide advolavit. Noctua e cavo venit, cicadam adripuit et leto eam dedit. Sic mortua tribuit noctuae donum quod («che», acc. n. sing. ) viva negaverat («aveva negato»). Fabula docet: vanus saepe aliis animum non accommodat itaque superbiae suae poenas oppetit.

Fedro

Una civetta era solita cercare cibo nelle tenebre e dormire in un ramo cavo, ma una cicala faceva schiamazzi fastidiosi per lei. La civetta disse alla cicala: «Taci, per favore». Tuttavia la cicala cominciò a schiamazzare molto più forte. La civetta pregava di nuovo la cicala, ma essa schiamazzava ancora più forte. La civetta, come vide nessuna risposta e le sue parole ignorate, aggredì la garrula cicala con l’inganno: «Le tue parole sono divine, sono cantate con il suono della cetra delle Muse e tu sei serva delle Muse. Ora le Muse hanno donato alle civette un’acqua divina e mormorante, vieni e berremo insieme l’acqua delle Muse, infatti ne sei degna». Allora la vanagloriosa cicala, poiché era assetata e al contempo amava essere lodata, volò con entusiasmo. La civetta spuntò dal nido, afferrò la cicala e le diede la morte. Così da morta concesse alla civetta il dono che da viva aveva negato. La favola insegna: il vanitoso spesso non conforma il modo di agire agli altri e così incorre nel castigo della sua arroganza.