Sconfitta e morte di Pompeo

Caesar vacuam urbem ingressus, dictatorem se fecit. Inde Hispanias petiit. Ibi Pompeii exercitus validissimos et fortissimos cum tribus ducibus, L. Afranio, M. Petreio, M. Varrone, superavit. Inde regressus in Graeciam transiit, adversum Pompeium dimicavit. Primo proelio victus est et fugatus, evasit tamen, quia nocte interveniente Pompeius sequi noluit, dixitque Caesar nec Pompeium scire vincere et illo tantum die se potuisse superari. Deinde in Thessalia apud Palaeopharsalum productis utrimque ingentibus copiis dimicaverunt. Pompei acies habuit XL milia peditum, equites in sinistro cornu sexcentos, in dextro quingentos, praeterea totius Orientis auxilia, totam nobilitatem, innumeros senatores, praetorios, consulares et qui magnorum iam bellorum victores fuissent. Caesar in acie sua habuit peditum non integra XXX milia, equites mille. Numquam adhuc Romanae copiae in unum neque maiores neque melioribus ducibus convenerant, totum terrarum orbem facile subacturae, si contra barbaros ducerentur. Pugnatum tamen est ingenti contentione victusque ad postremum Pompeius et castra eius direpta sunt. Ipse fugatus Alexandriam petiit, ut a rege Aegypti, cui tutor a senatu datus fuerat propter iuvenilem eius aetatem, acciperet auxilia. Qui fortunam magis quam amicitiam secutus occidit Pompeium, caput eius et anulum Caesari misit. Quo conspecto Caesar etiam lacrimas fudisse dicitur, tanti viri intuens caput et generi quondam sui.

Eutropio

Cesare, entrato nella città vuota (=senza guarnigioni), si proclamò dittatore. Quindi si diresse nelle Spagne. Là sconfisse i fortissimi e validissimi eserciti di Pompeo con i tre capitani, Lucio Afranio, Marco Petreio, Marco Varrone. Tornato di là passò in Grecia, combattè contro Pompeo. Nella prima battaglia fu vinto e messo in fuga, tuttavia si salvò, perché sopraggiungendo la notte Pompeo non volle inseguirlo, e Cesare disse che Pompeo non sapeva vincere e che lui avrebbe potuto esser vinto soltanto in quel giorno. In seguito combatterono in Tessaglia presso Farsalo vecchia, dopo aver schierato da entrambe le parti ingenti milizie. L’esercito di Pompeo dispose di 40.000 fanti, di seicento cavalieri al fianco sinistro, cinquecento al destro, inoltre ebbe le milizie ausiliarie di tutto l’Oriente, tutta la nobiltà, innumerevoli senatori, ex pretori, ex consoli e coloro che erano già stati vincitori di grandi guerre. Cesare nel suo esercito ebbe quasi 30.000 fanti, mille cavalieri. Mai fino a quel momento si erano radunate in un sol luogo truppe Romane nè maggiori di numero nè con comandanti migliori, che avrebbero facilmente sottomesso tutto il mondo, se fossero state condotte contro i barbari. Si combattè con grande accanimento e alla fine Pompeo fu sconfitto e il suo accampamento saccheggiato. Egli, messo in fuga, si diresse ad Alessandria per ricevere aiuti dal re dell’Egitto, a cui, per la sua giovane età, era stato assegnato dal senato come tutore. Costui, assecondando la sorte più che l’amicizia, uccise Pompeo, inviò a Cesare la sua testa e il suo anello. A questa visione Cesare, fissando la testa di un uomo così glorioso e un tempo dalla sua parte, si dice che abbia anche pianto.