Un gesto avventato

Rex Alexander, postquam ira decesserat mente, etiam ebrietate discussa, magnitudinem facinoris sera aestimatione perspexit et pigere eum facti coepit. Rex videbat tunc abusum inmodica libertate et a se occissum esse egregium bello virum et, nisi puderet fateri, servatorem sui. Indignam necem querebatur, exclamans: «Me miserum, iam tempus praeterit, sero me paenitet mei facinoris!». Manabat toto vestibulo cruor paulo ante convivae: vigiles attoniti et stupentibus similes procul stabant, liberioremque paenitentiam solitudo excipiebat. Nunc Alexandrum maxime taedebat vitae; ergo is retorsit in semet hastam evolsam ex corpore iacentis; iamque admoverat pectori, cum advolant amici et repugnanti e manibus extorquent adlevatumque in tabernaculum deferunt.

Curzio Rufo

Re Alessandro, dopo che l’ira era sbollita, dissipata pure l’ebbrezza, comprese con tardivo riconoscimento l’enormità del suo misfatto e cominciò a pentirsi del suo gesto. Il re capiva di aver ucciso un uomo che in quel frangente aveva abusato di un’eccessiva libertà di parola, ma di provato valore in guerra e, non si vergognava di ammetterlo, suo salvatore. Si doleva dell’ignobile uccisione, esclamando: “Me misero, ormai il momento è passato, troppo tardi mi pento del mio delitto!”. Si spandeva in tutto il vestibolo il sangue di quell’uomo che poco prima era un suo commensale: le guardie attonite e simili a persone paralizzate stavano immobili lontano, e la solitudine favoriva un pentimento senza alcuna remora. Ora Alessandro provava molto disgusto della vita; quindi rivolse contro se stesso la lancia tolta dal corpo giacente a terra; e già l’aveva avvicinata al petto, quando gli amici accorsero e, mentre egli resisteva, la strapparono a forza dalle sue mani e, sollevatolo, lo portarono nella tenda.