Uno scenario da… fine del mondo

Densa caligo tergis imminebat, quae nos torrentis modo infusa terrae sequebatur. «Deflectamus – inquam – dum videmus, ne in via strati comitantium turba in tenebris obteramur». Vix consideramus, et nox non qualis illunis aut nubila, sed qualis in locis clausis, lumine exstincto. Audires ululatus feminarum infantum quiritatus, clamores virorum; alii parentes, alii liberos, alii coniuges vocibus requirebant, vocibus noscitabant. Hi suum casum, illi suorum miserabantur, multi ad deos manus tollere, plures interpretabantur nusquam iam deos ullos aeternamque illam et novissimam noctem mundo esse. Aderant qui Miseni illud ruisse, illud ardere falso credentibus nuntiabant. Paulum reluxit, quod non dies nobis, sed adventantis ignis indicium videbatur. Et ignis quidem longius substitit; tenebrae rursus cinis, rursus, multus et gravis. Hunc identidem adsurgentes excutiebamus; operti alioqui atque etiam oblisi pondere essemus. Possem gloriari non gemitus mihi, non vocem parum fortem in tantis periculis excidisse, nisi credidissem me cum omnibus, omnia mecum perire, cum hoc misero, magno tamen mortalitatis solacio.

Il mio latino – Pag.327 n.20 – Plinio il Giovane

Alle spalle incombeva una densa nebbia, che ci seguiva dopo essersi riversata sulla terra come un torrente. «Allontaniamoci – dico – finché vediamo, per non essere calpestati nelle tenebre, stesi sulla strada, dalla folla di quelli che ci seguono». Ci eravamo appena seduti, e una notte non come priva di luna o nuvolosa, ma quale in luoghi chiusi, spenta la luce. Avresti potuto udire i lamenti delle donne, i pianti dei bambini, le grida degli uomini; alcuni cercavano con le voci i genitori, altri i figli, altri i coniugi, li riconoscevano dalle voci. Questi lamentavano la propria sorte, quelli quella dei loro parenti, molti sollevavano le mani agli dèi, parecchi pensavano che ormai non ci fosse alcun dio da nessuna parte e quella notte fosse eterna e l’ultima per il mondo. Vi erano alcuni che riferivano falsamente a persone che ci credevano che a Miseno quello era crollato, quello bruciava. Ritornò la luce per un po’, cosa che a noi sembrava non giorno, ma indizio di fuoco che arrivava. Ma il fuoco si fermò più lontano; di nuovo le tenebre, di nuovo la cenere, molta e pesante. La scuotevamo via alzandoci continuamente; altrimenti saremmo stati coperti e addirittura schiacciati dal peso. Potrei vantarmi che non un gemito, non una parola poco coraggiosa mi sfuggì in così gravi pericoli, se non avessi creduto che io morivo con tutte le cose, tutte le cose con me, con una misera, tuttavia grande consolazione della mortalità.