Vitellio

Dein Vitellius imperio potitus est, familia honorata magis quam nobili. Nam pater eius non admodum clare natus tres tamen ordinarios gesserat consulatus. Hic cum multo dedecore imperavit et gravi saevitia notabilis, praecipue ingluvie et voracitate, quippe cum de die saepe quarto vel quinto feratur epulatus. Notissima certe cena memoriae mandata est, quam ei Vitellius frater exhibuit, in qua super ceteros sumptus duo milia piscium, septem milia avium adposita traduntur. Hic cum Neroni similis esse vellet atque id adeo prae se ferret, ut etiam exequias Neronis, quae humiliter sepultae fuerant, honoraret, a Vespasiani ducibus occisus est interfecto prius in urbe Sabino, Vespasiani imperatoris fratre, quem cum Capitolio incendit. Interfectus autem est magno dedecore: tractus per urbem Romam publice, nudus, erecto coma capite et subiecto ad mentum gladio, stercore in vultum et pectus ab omnibus obviis adpetitus, postremo iugulatus et in Tiberim deiectus etiam communi caruit sepultura. Periit autem aetatis anno septimo et quinquagesimo, imperii mense octavo et die uno.

Eutropio

Quindi s’impadronì del supremo potere Vitellio, di famiglia più stimata che nobile. Infatti suo padre, pur di natali per nulla illustri, tuttavia aveva esercitato tre consolati ordinari. Egli governò con molto disonore e fu degno di biasimo per la violenta crudeltà, e soprattutto per l’ingordigia e la voracità, poiché si racconta che nel corso di una giornata spesso mangiasse quattro o cinque volte. È stato tramandato con certezza il famosissimo pranzo, che gli offrì il fratello Vitellio, nel quale oltre a tutte le altre prodigalità si narra che siano stati serviti duemila pesci e settemila uccelli. Costui, volendo esser simile a Nerone e ostentandolo fino al punto da onorare persino le spoglie di Nerone, che erano state umilmente sepolte, fu assassinato dai capitani di Vespasiano, dopo che aveva in precedenza ucciso in città Sabino, fratello dell’imperatore Vespasiano, che fece bruciare insieme al Campidoglio. Venne poi ucciso con grande ignominia: trascinato in pubblico per la città di Roma, nudo, con la testa sollevata dai capelli e con un gladio posto sotto il mento, assalito con lo sterco in volto e sul petto da tutti coloro che gli andavano incontro, infine sgozzato e gettato nel Tevere, non ebbe nemmeno una sepoltura comune. Morì a 57 anni, dopo otto mesi e un giorno di comando.