Il mal di mare ha la meglio anche sui saggi

Quid non potest mihi persuaderi, cui persuasum est ut navigarem? Solvi mari languido; erat sine dubio caelum grave sordidis nubibus, quae fere aut in aquam aut in ventum resolvuntur, sed putavi pauca milia a Parthenope tua usque Puteolos subripi posse. Itaque quo celerius evaderem, protinus per altum ad Nesida derexi praecisurus omnes sinus. Cum iam eo processissem ut mea nihil interesset utrum irem an redirem, primum aequalitas illa quae me corruperat periit; nondum erat tempestas, sed iam inclinatio maris ac subinde crebrior fluctus. Coepi gubernatorem rogare ut me in aliquo litore exponeret: aiebat ille aspera esse et importuosa. Nausia me segnis et sine exitu torquebat, quae bilem movet nec effundit. Institi itaque gubernatori et illum coegi peteret litus. Cuius ut viciniam attigimus, memor artificii mei, vetus frigidae aquae cultor, mitto me in mare gausapatus.

Seneca

A cosa non si può convincere me, che fui convinto a viaggiare per mare? Salpai col mare calmo; c’era senza dubbio un cielo pesante di nubi scure, che di solito si risolvono o in acqua o in vento, ma ritenni che così poche miglia dalla tua Napoli fino a Pozzuoli si potessero percorrere in fretta. Perciò per uscire più rapidamente, feci rotta subito attraverso l’alto mare verso Nisida per tagliare fuori tutte le insenature. Essendomi già inoltrato al punto che per me non c’era nessuna differenza se andavo o tornavo, inizialmente quella calma che mi aveva illuso venne meno; non era ancora una tempesta, ma già un mutamento del mare e subito dopo un movimento delle onde più frequente. Incominciai a pregare il timoniere di sbarcarmi in qualche litorale: quello diceva che erano scoscesi e sprovvisto di porti. Mi tormentava una nausea pesante e senza via d’uscita, che muove la bile e non la espelle. Insistetti perciò con il timoniere e lo costrinsi a dirigersi verso il litorale. Quando ne raggiungemmo le vicinanze, memore della mia attitudine, da vecchio amante dell’acqua fredda, mi getto in mare vestito.