La storia di Roma – I Deci (I)

Instructis ordinibus processere consules in aciem; Manlius dextro, Decius laevo cornu praeerat. Primo utrimque aequis viribus gerebatur res; deinde ab laevo cornu hastati, non ferentes impressionem Latinorum, se ad principes recepere. In hac trepidatione Decius pontificem magna voce inclamat. «Deorum», inquit, «ope opus est; agedum, praei verba quibus me devoveam». Pontifex eum togam praetextam sumere iussit et velato capite pedibus stantem sic dicere: «Iane, Iuppiter, Mars pater, Bellona Diique Manes, vos precor, veneror, ut populo Romano Quiritium vim victoriamque prosperetis hostesque terrore morteque adficiatis. Ita pro re publica legiones hostium mecum Deis Manibus Tellurique devoveo». Haec ita precatus, armatus in equum insiluit ac se in medios hostes immisit, conspectus ab utraque acie, aliquanto augustior humano visu, sicut caelo missus piaculum irae deorum qui pestem in hostes ferret. Nam quacumque, telis obrutus, equo invectus est, inde, quasi pestifero sidere icti, hostes fugiebant.

Livio

Disposte le schiere, i consoli scesero in campo; Manlio era a capo dell’ala destra, Decio della sinistra. In un primo momento da entrambe le parti la battaglia era condotta con pari forze; poi dall’ala sinistra gli astati, non sostenendo l’attacco dei Latini, si ritirarono tra i primi. In questo scompiglio Decio chiamò a gran voce il pontefice. Disse: «C’è bisogno dell’aiuto degli dèi; orsù, dettami le parole con cui mi offro». Il pontefice ordinò che indossasse la toga pretesta e dicesse così mentre stava in piedi con il capo velato: «O Giano, o Giove, o padre Marte, o Bellona e dèi Mani, vi prego, vi supplico che propiziate al popolo Romano dei Quiriti la forza e la vittoria e colpiate i nemici con il terrore e la morte. Così per lo Stato offro in voto insieme a me agli dèi Mani e alla Terra le legioni dei nemici». Dopo che ebbe pregato in questo modo, saltò armato a cavallo e si lanciò in mezzo ai nemici, osservato da entrambe le parti, ben più maestoso di un aspetto umano, come se fosse stato inviato dal cielo come rimedio dell’ira degli dèi per portare sventura ai nemici. Infatti dovunque, sommerso dai dardi, andò con il cavallo, da lì, come colpiti da un fulmine funesto, i nemici fuggivano.