L’avaro che morì due volte

Fuit quondam avarus quidam quem maxime liberalitatis taedebat; cum mortuus ad Acherontis ripam pervenit, Charon ut eum traiceret flumen, petiit obulum ut ab love iussus erat. Ille ne obulum daret, flumen natando transivit, sed eum consecutus Charon est qui duxit ad Minoem, iudicem umbrarum. Charon istius avaritiam questus est, et propter iniuriam se praebuit offensum. Tunc Minos: «Quoniam – inquit non vis paeniteat avaritiae, ne ego quidem tibi veniam dabo et poenam quae te decet, a te petam: inter vivos redi». Avarus ille Minois calliditatem non animadvertit, immo ille sibi videbatur praemio affectus esse: sed cum heredes vidit qui divitias tanto incommodo congestas profundebant: «Heu me miserum!», clamavit, et tanto dolore affectus est ut iterum mortuus sit. Ita Minos eum liberalitatis artem, sed sero docuit.

Cicerone

Una volta vi fu un avaro che provava il massimo disgusto della generosità; quando, morto, giunse alla riva dell’Acheronte, Caronte per farlo passare al di là del fiume, gli chiese un obolo come era stato ordinato da Giove. Quello per non dare l’obolo, attraversò il fiume a nuoto, ma lo inseguì Caronte che lo condusse da Minosse, il giudice delle ombre. Caronte si lamentò dell’avarizia di costui, e si mostrò offeso per l’affronto. Allora Minosse: “Dal momento che – disse – non vuoi pentirti della tua avarizia, neppure io ti concederò il perdono e ti chiederò un risarcimento che ti si addice: ritorna tra i vivi”. Quell’avaro non si rese conto dell’astuzia di Minosse, anzi gli sembrava di essere stato premiato: ma quando vide gli eredi che scialacquavano le ricchezze accumulate con tanto sudore: “Oh me misero!”, gridò, e fu preso da un dolore così grande che morì per la seconda volta. Così Minosse gli insegnò la qualità della generosità, ma troppo tardi.