Publio Rutilio

Nescio utrum P. Rutilii verba prius an facta aestimem; nam inest admirabile robur aeque utrisque. Cum amici cuiusdam iniustae rogationi resisteret, atque is per summam indignationem dixisset: “Quid ergo mihi opus est amicitia tua, si, quod rogo, non facis?” respondit: “Immo quid mihi amicitia tua opus est, si propter te aliquid inhoneste facio?” Huic voci consentanea fuit eius opera: nam reus factus ordinum dissensione, sine ulla culpa sua, nec obsoletam vestem induit, nec insignia senatoris deposuit, nec supplices ad genua iudicum manus tetendit, nec dixit quidquam humilius pro splendore praeteritorum annorum. Periculum non impedimentum gravitatis eius fuit, sed experimentum. Atque etiam, cum ei reditum in patriam Sullana victoria praestaret, in exilio, ne quid adversum leges faceret, remansit.

Valerio Massimo

Non so se apprezzare di più le parole o i comportamenti di Publio Rutilio; infatti in entrambi è insita in modo eguale una forza d’animo degna di ammirazione. Poichè si opponeva ad una ingiusta richiesta di un amico, e costui gli aveva detto con sommo risentimento: “Dunque a cosa mi serve la tua amicizia se non fai ciò che ti chiedo?”, rispose:” Al contrario, a cosa mi giova la tua amicizia, se per colpa tua faccio qualcosa di disonesto?”. La sua azione fu coerente a queste parole: infatti, poiché accusato in giudizio per una discordia del senato, senza nessuna sua colpa, non indossò una veste comune, nè depose le insegne di senatore, nè tese le mani supplici alle ginocchia dei giudici, nè disse qualcosa in modo vile al posto di quelle degli anni passati dette con onore. Il pericolo non fu un impedimento per la sua dignità, ma un banco di prova. E anche quando la vittoria di Silla gli garantiva il ritorno in patria, rimase in esilio per non fare qualcosa contro le leggi.