Verre ha saccheggiato anche la casa di Eio

C. Heii domus est vel optima Messanae, notissima certe et nostris hominibus apertissima maximeque hospitalis. Ea domus ante istius adventum ornata sic fuit, ut urbi quoque esset ornamento; nam ipsa Messana, quae situ, moenibus portuque ornata sit, ab his rebus, quibus iste delectatur, sane vacua atque nuda est. Erat apud Heium sacrarium magna cum dignitate a maioribus traditum, perantiquum, in quo (erant) signa pulcherrima quattuor summo artificio, summa nobilitate, quae non modo istum hominem ingeniosum et intelligentem, verum etiam quemvis nostrum delectare possent. Ut ad illud sacrarium redeam, unum signum erat Cupidinis e marmore; ex altera parte Hercules egregie factus ex aere. Is dicebatur esse Myronis. Item ante hos deos erant arulae, quae cuivis reli gionem sacrarii significare poterant; erant aenea duo praeterea signa, non maxima, verum eximia venustate, virginali habitu atque vestitu, quae manibus sublatis sacra quaedam, more Atheniensium virginum, reposita in capitibus sustinebant: Canephoroe ipsae vocabantur; earum artificem Polyclitum esse dicebant. Messanam ut quisque nostrum venerat, haec visere solebat. Haec omnia signa, iudices, ab Heii sacrario Verres abstulit.

Maiorum Lingua C

C. Eio possiede persino un’elegantissima casa a Messina, assai nota e aperta ai nostri uomini e particolarmente adatta agli ospiti. Prima dell’arrivo di costui questa casa è stata così adorna che costituiva anche per la città un ornamento; la stessa Messina, infatti, la quale è adorna per posizione, mura e il porto, è certo vuota e priva di questi elementi decorativi di cui costui si diletta. Eio aveva un tempietto tramandato dagli antenati con grande magnificenza, antichissimo, dove c’erano quattro bellissime statue realizzate con massima arte e qualità che avrebbero potuto allietare non solo quest’uomo ingegnoso e intelligente, ma anche chiunque tra noi. Per ritornare a quel tempietto, c’era una statua marmorea di Cupido; da un’altra parte un Ercole fatto straordinariamente di bronzo. Si diceva che fosse stato scolpito da Mirone. C’erano poi davanti a queste statue di divinità dei piccoli altari, i quali potevano indicare a ciascuno il culto del tempietto; vi erano poi due statue di bronzo, non grandissime ma di straordinaria bellezza, in atteggiamento e abbigliamento da ragazze, le quali reggevano con le mani alzate, come era uso delle fanciulle ateniesi, alcuni oggetti sacri posti sulle teste. Esse stesse erano chiamate “Portatrici di ceste”; dicevano che il loro creatore fosse Policleto. Non appena ciascuno di noi era giunto a Messina, era solito ammirare questo. Tutte queste statue, o giudici, Verre ha portato via dal tempietto di Eio.